LUIGI FONTANELLA,  MONTESTELLA

Passigli, Firenze 2020

di Stelvio Di Spigno

Luigi Fontanella ci ha fornito, nella sua penultima opera poetica, L’adolescenza e la notte, del 2015, un ricco campionario di forme brevi, assolute, istantanee, nelle quali dei momenti di vita cruciali per la crescita del soggetto si inerpicavano in altri nei quali la pena dell’esistere, il dolore della perdita e il malessere per il tempo perduto fornivano una dialettica e una dinamica dell’immagine poetica assolutamente probatoria, con parole scolpite e a loro modo finali.

E questo tratto così peculiare, questa nitidezza luminosa facevano quasi da controcanto alla “notte” presente nel titolo. In effetti, la notte comporta un dissolvimento, anche della parola, anche di quella più nitida, e tale sbriciolarsi dell’esperienza si fa vivo e presente col libro successivo, Monte Stella, anch’esso pubblicato presso Passigli all’inizio del 2020. Con questo nuovo capitolo l’edificio poetico di Fontanella si arricchisce di una particolare sezione dedicata più alla separazione che alla presenza della memoria. Come dire, possiamo ricordare ciò che ci capita, i volti, le persone, le situazioni, ma sono le appartenenze che bisogna difendere, i legami, altrimenti persino il più dolce dei ricordi si tramuta in un dato, freddo e algebrico, da contrassegnare con la propria distanza.

Monte Stella si incarica proprio di questo compito: cogliere il fiore della memoria nel momento in cui i rapporti in essa segnati e quelli con altri istanti di purezza appartenenti ad altre età della vita si disgiungono, andando inevitabilmente a smarrirsi – e con esse l’io poetico, che in una sorta di sofferto amor fati, abbraccia il destino della sua sparizione in modo finalmente consapevole e maturo, non più schiavo delle mille facce che il dolore mescola al trascorrere della vita. Non si tratta di una proditoria irruzione del negativo. Né di una nuova inquietudine che fa da sponda al lento allontanamento del soggetto da un purgatorio consolatorio e in qualche modo vivibile. Piuttosto lo stile, divenuto veemente, si allontana dalla semplicità sintattica della felicità e della giovinezza, e nella sua missione di documentare tutto, diventa come evanescente, leggero, impalpabile, mentre il ricordo viene colto nel suo consumarsi e sparire in un movimento che chiama in causa le ragioni del tempo, del suo ingannevole mostrarsi, del suo rivelarsi, infine, come verità ultima di un allontanamento perenne e mai concluso.

È come se queste nuove liriche di Fontanella tendessero verso l’infinito, disdegnando ogni disegno razionale ma con una grazia estrema, un punto di rottura che non può mai essere raggiunto e lascia in sorte la nostalgia non tanto di una irreperibile esistenza singolare, quanto di una partecipazione rimpianta che un giorno ha fatto parte della nostra vita e che ora non può più sussistere. Succede anche questo nel fitto impianto memoriale della poesia di questo autore “transatlantico”. Ma può finire tutto in questo modo? Con la notte e la tenebra che vincono sul giorno fatto? Naturalmente no, ed ecco che in soccorso della mente che perde, per suo destino, per sua naturale disposizione, la corrispondenza e il contesto, viene la visione, il sogno, tanto che non è più possibile con certezza marcarne i territori assegnati.

Come in un formulario miracoloso, il continuo divenire e sfaldarsi dei legami trova un contrappeso nella levità dell’immaginazione e nel controcanto onirico dell’esperienza privata (e deprivata): «né di conchiglie né di rimorsi / è questa sera turchina che tende / le braccia alla tua montagna, quel monte Stella / che scali ogni giorno con gli occhi». Così la meta della memoria diventa preclusa alla via del tempo ma non a quella suadente «foto / smarrita in una strada / che tu solo conosci». E dunque è ancora il legame a essere un privilegio poiché soltanto la relazione salva dall’oblio. In questo consiste l’essenza stessa della creazione poetica e del suo istante decisivo e irripetibile.

Una lezione montaliana, una coincidenza di poesia e amore, di affetti e fabulae, che Fontanella fa proprio in modo del tutto originale, al punto di essere addirittura commovente tanto è spontanea e vera la “reinvenzione” della facoltà rammemorante.

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