“Eccoci qui, ancora soli. C’è un’inerzia, in tutto questo, una pesantezza, una tristezza..”
Céline stende queste frasi per aprire un romanzo che traccerà la storia dell’umanità, la ‘peste’ della storia dell’uomo e il libello del flusso dei suoi pensieri che migrano dal presente alla memoria e dalla memoria al presente.
Porta il nome dell’inadeguatezza e dell’impossibilità umana di essere autentici, porta la prigionia dell’oscurità, analizza attraverso un linguaggio ‘reale’ e attraverso l’esperienza di una vita la miseria intellettuale dei suoi simili a cui lui risponde con una noncuranza aristocratica da dove emerge un delizioso arresto delle buone intenzioni; non sarà lui un traghettatore di anime in pena verso una terra di salvezza pur avendo nelle sue mani ampi giacigli di ristoro e di bellezza bensì farà dei suoi interlocutori e di se stesso un gioco sporco.
Céline fu un bambino e un uomo inopportuno a detta dei suoi vecchi e di tutto il “Passage”, un individuo squilibrato, un assassino e un masturbatore, uno svitato che ucciderà i genitori e che manderà in malora tutto il mondo e di tutto questo armamentario si decorerà senza nessuna credenza, come un pastore senza fede: “Soltanto, a furia di non guadagnar nulla, di non vendere un accidente, di camminar sempre con un campionario così pesante, dimagrivo a vista d’occhio..Salvo i bicipiti, s’intende. Anche i piedi mi crescevano. Mi cresceva l’anima..tutto mi cresceva..Stavo diventando sublime”.
Certamente Céline è astruso da qualsiasi andamento sociale e morale mentre struttura una sua morale che definirei ‘buona, cara, amata’; la sua indulgenza verso l’autenticità delle persone, seppur nefasta e distruttiva, e verso la vita stessa è straordinaria ed è proprio su questo argomento che trovo l’essenza e la sostanza della sua opera.
Céline pare essere il testimone del flusso della vita, la vita che succede dentro alle persone, la vita che non viene rigettata, che sia di una battona o che sia di un uomo medio. La sua dolcezza e la sua maternità nell’accogliere una vita vicino alla sua è quasi miracoloso, senza filtri né forzature ma semplicemente come un essere umano vicino a un altro, come se non avesse subito le peripezie dell’educazione, degli usi e dei costumi. Un essere caldo di vita, di sangue e di pensiero caduto improvvisamente tra di noi ; il suo cranio battuto dal sole, dalle macchie e dal disincanto.
È questa la sua moralità, la sua legge in cui si è mosso fin dal principio della sua esistenza. Leggendo il saggio critico di Carlo Bo mi trovo in difficoltà, non tanto per il suo punto di vista che, certamente è lecito, ma tanto per l’ingenuità che trapela. Al di là del fatto, assodato, che ognuno può avere della realtà, della sostanza del reale, Bo sembra commettere uno sbaglio grave, ossia quello di voler insegnare una possibile e forse unica maniera di percepire la realtà, a mio avviso priva di vita e sterile, inconsistente, in questo particolare caso. Riduce Céline a un uomo incapace di percepire la realtà, affermando ‘ tutto il suo dramma sta-come è stato detto tante volte- nella mancanza di equilibrio fra l’intelligenza piena della realtà e la sua resistenza morale’. Dunque cosa è la realtà e la sua intelligenza e perché non si può professare una resistenza morale, sempre dopo aver capito correttamente a quale resistenza morale si rivolga Bo? Si sofferma su una resistenza morale che è dedita a una vita strutturata ed edificata su gerarchie sociali o su una resistenza morale che implica la vita ‘nuda’? Perché si ostina ad affermare che Celine maneggia la realtà, che ovviamente ben conosce, riducendola volontariamente, attraverso trucchi allucinati, deviandola così dalla sua rotta? Perchè si ostina a vedere nel suo linguaggio, ‘maleducato’, una superficialità? É ovviamente argomentato nel saggio ma non bene spiegato se non attraverso formulazioni rigide e accattivanti.
Pur ammettendo che, rilevando nella vita anteriore al ‘Voyage, ‘elementi di disgregazione e paura, e dunque cercando di tracciare un andamento della sua opera, non riesco a trovare una autenticità di questa affermazione; come se un uomo non dovesse avere paura e non potesse sentirsi astruso da una realtà che ovviamente è irreale e prossima a una congettura, o come se dovesse trovare una soluzione alla paura o forse come se dovesse imparare ad attingere alla paura e poi parlarcene razionalmente che, è certamente una condotta dignitosa e brillante, una opzione, una scelta ma Celine è già la paura come è già l’indulgenza o l’amore. Dunque perchè Bo non ha notato questa differenza? Credo di trovarmi davanti a una incapacità, e molto grave, vista la sua posizione di intellettuale, di porsi davanti a uno ‘scenario vitale’ astenendosi accademicamente. Ho la sensazione di trovarmi davanti a delle affermazioni morbose e giudicanti, terribilmente pericolose e fuorvianti. Quale dovrebbe essere la responsabilità di un uomo o di uno scrittore? Cosa è una responsabilità nell’arte? Probabilmente si riferisce a un aspetto edificante? E in quali termini si può parlare di aspetto edificante? Insegnando al lettore cosa è la realtà? E cosa è la realtà? Quando afferma ‘Celine è stato vittima dei suoi sentimenti e ha creduto di poter contrapporre validamente, efficacemente il furore dell’immaginazione al sentimento capitale della paura’, cosa vuole suggerire precisamente? Forse, impegnandomi, vorrebbe affermare che non è istruttivo divagare, che è immorale e sconcio generare opzioni su un’altra possibile realtà, affermando che la sua è una scorciatoia per evitare la densità del reale? Siamo davanti a un saggio in cui l’unica realtà si riconosce in una giustizia per l’uomo, in un riguardo sociale, in una educazione ‘per l’altro’ che non fa altro che abbrutire la condizione umana e in cui la moralità prende voce semplicemente in una etica, senza lasciarla respirare, senza darle la possibilità di essere integra per poter continuare il suo tragitto. Probabilmente Bo si riferisce alla tendenza di Celine di giudicare l’uomo a prescindere ed è qui che commette il suo errore, narrando l’opera generale di Celine come incompleta e non del tutto esaustiva e sincera.
Tralasciando Bo e le sue suggestioni ideali e paradossalmente grette, Celine continua a dare il suo fiato e concepisce la realtà direttamente attraverso delle immagini e delle azioni fortemente vive, senza passare per una consapevolizzazione, per un pensiero che poi dovrebbe essere espresso. Probabilmente è questa la scorciatoia a cui si riferisce Bo e in cui io invece vedo una potente immediatezza, tra l’altro densa di dolore e indulgenza: “Prendevamo le nostre misure precauzionali, portavamo provviste, saccheggiavamo un poco la cucina prima di uscire. Non avevo più la minima fretta…anche stanco, mi trovavo meglio fuori a bighellonar qua e là..Ci riposavamo dove capitava..Ci regalavamo un’altra sosta, sugli scalini e sui sassi, proprio alla porta del nostro giardino..Là dove passava la grande scalinata, quella che portava su dal porto, quasi sotto le nostre finestre…me ne stavo lì con Jonkind più che potevo, tutti e due rannicchiati, silenziosi”. In questa letteratura c’è una sanità sfiancante, c’è un dialogo intimo e fortemente reale, c’è appunto, a differenza di quello che afferma Bo (anche se tende a salvare Morte a credito rispetto al Celine portatore di una ‘deficienza morale’ e ritiene il romanzo come uno dei migliori della letteratura francese sotto alcuni punti di vista), una capacità di stabilire un contatto con il reale, perenne e incorruttibile, proprio nel momento in cui si genera, senza nessuna alterazione e soprattutto senza nessuna allucinazione o costruzione artificiale dovuta all’immaginazione, come invece afferma Bo.
Pur salvando “Morte a credito” e ancor prima “Viaggio al termine della notte”, Bo ne rileva comunque delle sporcature e addirittura delle corruzioni per una incapacità di sentire la realtà onestamente e per il suo tic di descrivere la realtà in maniera viziata e preconcetta.
Come già accennato poco prima, la presunzione di Bo di conoscere il reale e di tramandarlo così energicamente, svalutando la possibilità di tramandarlo con altri codici è deprimente e debole.
Ciò che non condivido è la posizione in cui si pone Bo, ossia quella di disprezzare un individuo che ha una idea delle cose e del suo ordine o del suo disordine e soprattutto dell’impossibilità o dell’eventuale libertà di porre gli uomini e le cose a uno stato di degradazione assoluta e immutabile in cui, tra l’altro, si pone anche Céline e di trovare un metodo di comunicazione con questa condizione e non riesco neanche a intravedere perché dovrebbe essere fittizia. Celine trasmette efficacemente e con una umanità sbalorditiva la sua presenza e la percezione che ha degli uomini.
C’è dunque un errore di valutazione in questo saggio e uno sforzo inutile che seppur valido e interessante sotto alcuni punti di vista non arriva a dare una percezione valida di Celine. Siamo nelle mani di un dio cattivo e antico.
Credo che la storia di uno scrittore sia energica e valida anche nel momento in cui precipita e soccombe in alcuni momenti e che debba lasciare al lettore la possibilità di morire o risorgere.
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