Ultima fermata – Racconti in versi. È con questo titolo per nulla roboante che Fabio Dainotti ci presenta il suo ultimo lavoro pubblicato con una nota di Luigi Fontanella.
Ho sempre amato i racconti in versi. Sono segni di umiltà critica e introducono lo spettatore, diciamo pure il lettore, direttamente nella psiche del poeta. Questa silloge non fa eccezione. Incontri di una vita, amori, fallimenti, piccoli e grandi gioie in essa narrate con un‘arte sublime e una lima non di minor conto, ci si squadernano con una facilità di lettura che mostra tutta la voglia di comunicare dell’autore, conscio che il progresso della poesia va in una direzione precisa: è il poeta che si incammina verso il lettore, e non viceversa.
L’arte sottile di questa raccolta è nettamente superiore alla media di questo specimen poetico, e francamente superiore ad altre prove dello stesso Dainotti. Ma si farebbe torto all’autore nel non menzionare i ricchi giochi intertestuali soprattutto caproniani, l’apparato di occasioni ricolte e rivestite di un nobilissimo manto letterario, la veste accuratamente calata di arte poetica che tuttavia nulla toglie alle vicende biografiche e al loro (talvolta) amaro consuntivo sulla vita trascorsa.
Ne viene così un dubbio, che è anche una sorta di dilemma che sovrasta la poesia di Dainotti. Che le evanescenti figure, quasi mitiche, evocate nel libro, siano tutti senhal della poesia come divinità autoctona e incorruttibile, alla quale non è possibile estorcere un verso che non sappia di vita vera.
Perché, infine, sembra essere questo il destino tremendo e magnifico di chi scrive di sé: una continua, costante ricapitolazione degli avvenimenti che può avvenire in un solo verso, in una poesia, o in un intero libro, come in questo caso, dove la cura del poeta non elide le emozioni e gli avvenimenti ma rende universali le scorciatoie dell’esistenza in un continuo susseguirsi di verità e, perché no, di menzogna che insegna che non esistono muri o vicoli ciechi alla vita di chi sa creare.
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