DONNE CHE SENTONO IL SUONO
di Massimiliano Venturini
“Questa è una storia di donne che sentivano la musica nella loro testa, una storia di suoni radicali dove prima c’era solo silenzio, una storia di sogni diventati realtà grazie alla tecnologia. La tecnologia ha un eccezionale potere liberatorio, ha fatto saltare in aria le strutture di potere e le donne sono state naturalmente attratte dalla musica elettronica..” E’ l’introduzione di Laurie Anderson, leggendaria esponente della musica d’avanguardia a introdurre il documentario “Sisters with transistors” di Lisa Rovner dedicato alle pioniere della musica elettronica.
Presentato al festival dei Popoli di Firenze, racconta con entusiasmo le storie di musiciste che hanno dovuto sgomitare in un mondo di musicisti spesso diffidenti, che impediva perfino a queste autrici di chiamare musica elettronica le loro composizioni. Nella memoria della compositrice Bebe Barron, autrice della celeberrima colonna sonora “Forbidden Planet” realizzata insieme a Louis Barron, l’unione dei musicisti definiva le opere delle compositrici come “tonalità elettroniche”.
“E’ strano che la musica elettronica venga considerata un campo maschile, deve esserci un completo cambio di consapevolezza in campo musicale. Devono iniziare ad insegnare musica scritta da donne così come quella scritta dagli uomini e da persone di tutti i colori. Sarebbe un grande cambiamento (P. Oliveros)”
Le compositrici più significative sono state senz’altro Suzanne Ciani, Laurie Spiegel, Eliane Radigue e Pauline Oliveros. Se le prime due hanno alzato gli occhi al “mondo nuovo” dei sintetizzatori usati negli spot pubblicitari (Ciani) e sperimentando negli studi Bell Labs (Spiegel) trattando le macchine come estensioni del corpo, la Radigue e la Oliveros si sono rivolte al mondo della coscienza e della percezione, lavorando sul tempo dei suoni (la prima) e sul deep listening (la seconda).
Oggi la musica attraversa generi e confini con fluidità e noncuranza, rivendicando identità multiple e costruendo passaggi non obbligati, per costruire una filosofia del sentimento e dei sensi, “sperimentale ed erotica insieme” (Franco Bolelli). Questo accade con Ana Roxanne, Felicia Atkinson, Tomoko Sauvage, personalità differenti ma convergenti, che attraversano il minimalismo costruendo suoni al limite dell’udibile e dell’intelligibile.
Ecco la rilettura di Ana Roxanne del brano di Chaka Khan “I’m every woman” nella versione di Whitney Houston come un testamento della propria femminilità prima di fare coming out come intersex. Nel catalogo della Roxanne troviamo field recording impalpabili, citazioni dal Tao The Ching e da Milan Kundera. Anche quella della Atkinson è musica impalpabile ed eterea, in bilico tra spoken word e paesaggi subliminali. Attenta ai concetti di suono, rumore e silenzio, questa artista si muove tra performance e sperimentazione sonora. Un trait d’union questo, che la avvicina al percorso della giapponese (ma trasferita a Parigi) Tomoko Sauvage e alle sue creature-sculture, con le quali da qualche anno investiga le proprietà del suono in relazione agli ambienti.
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