BIOPOLITICA, VERSO LA LIBERTÀ CONTRO IL POTERE
di Massimiliano Venturini
La pandemia ha mostrato una volta di più il vero centro della politica contemporanea, intesa non tanto come scenario delle scelte di governance ma come insieme delle prassi destinate a regolare la vita lungo la linea retta del benessere, modellando il corpo sia individuale che sociale. Dal febbraio 2020, le scelte di controllo biopolitico hanno virato verso un approccio normalizzante e governamentale.
Sarebbe quanto meno miope pensare che la politica si riduca a costanti naturali: l’uomo è un animale politico (Aristotele) e la politica tende alla buona vita, ma la relazione tra i due assunti è tutt’altro che pacifica e lo dimostra la mutazione avvenuta in età moderna. Hobbes sistematizza il concetto di sovranità in funzione della tutela della vita tout court, fornendo al potere un’autolegittimazione che diverrà incontestabile, fino alla perversione morale operata dal nazismo.
La natura (del potere) ama nascondersi: nello stato di diritto liberale il potere sovrano viene mitigato da una sola mediazione, quella del diritto e delle istituzioni del potere, così da permettere un corso regolare ma quanto più spontaneo e naturale alla libertà dell’individuo. In altri termini, il potere si dirama in mille rivoli permeando tutta la realtà, diffondendo un’autonarrazione che mira a creare una realtà pacificata in cui la legge è il limite alla libertà con la giustificazione che in questo modo può meglio esprimerla.
In questo modo il potere si intreccia alle relazioni di tipo produttivo (nutrimento, disciplinamento, governo, allevamento) degli individui, contribuendo a definirne l’identità e impedendo di vederne l’aspetto alienante o per meglio dire alogico. Se la riflessione sulla biopolitica di Foucault sembra concentrarsi esclusivamente sull’accezione moderna della politica moderna, pare invece necessario ripensare alla politica come spazio di eccezione che permette di dire, soprattutto nel rapporto tra uomo e legge, cosa può essere davvero pensato e detto.
Negli scritti di Giorgio Agamben (ma non solo) si ritrova la tensione a voler smontare la geometria teologico-politica della biopolitica occidentale con una teoria che liberi il corpo dai suoi usi non operativi (p. es. la schiavitù nell’antichità, le cooperative di servizi oggi). Rimane tuttavia ancora da sciogliere il nodo gordiano del rapporto tra vita naturale e vita politica in senso proprio. Arendt, Agamben, Negri, ciascuno fornisce paradigmi concettuali utili a smascherare la tensione tra i due poli dell’agire, tra zoe e bios. Forse aveva ragione invece Foucault a teorizzare un terzo polo, l’ethos, cioè la capacità di affrancarsi dalle maglie della rete del potere per costruire una vita propria, soggettivamente intesa, e singolare.
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