IL SILENZIO È ORO

di Massimiliano Venturini
ragazza occhiali

Il silenzio è creatore, la parola vive nel ricordo del già esperito, nel riconoscimento dell’occhio. Eppure attribuiamo al silenzio il crisma del nulla più, della quiete – intesa come assenza di moto – del definitivo. Ma davvero il silenzio (traduzione in sostantivo dell’azione di tacere) è un’omissione, una negazione? Nelle vie di liberazione orientali il silenzio è un traguardo, il culmine di un percorso; nel buddhismo zen i koan spesso hanno una soluzione non verbale perlomeno paradossale, poiché costringono il monaco a liberare il pensiero dai vincoli della mente.

Dobbiamo ricordare che il “suono” è una rappresentazione psicologica, una traduzione delle vibrazioni e dei moti del mondo da parte del nostro cervello, in perenne movimento. In musica, per “suono” si intende qualsiasi vibrazione rappresentabile in forma di nota sul rigo musicale. Eppure per chi è dotato di orecchio assoluto, qualsiasi rumore è scrivibile sul pentagramma nel setticlavio. Far tacere la mente, silenziarla implica averne il controllo – paradossalmente, non controllarla – e quindi rinunciare alla volontà di imporre la propria visione delle cose rispetto al perfetto scorrere della realtà.

Il detto “chi tace acconsente” denota un odioso carattere autoritario. Giuridicamente il silenzio vale come assenso infatti solo in risposta alle richieste dei privati verso la pubblica amministrazione. Nel gergo aziendale, vale la regola “se affermo, confermo; se nego, spiego” ribadendo che nell’accordo non servono parole, se non lo stretto necessario, il “nulla di troppo”. Tra privati, il silenzio vale come non manifestazione di volontà e nel suo persistere gli effetti di un atto si produrrebbero computando il trascorrere del tempo.

La parola è umana, imperfetta e particolare. Per i mistici, avvicinarsi a dio implica la rinuncia al dialogo umano e all’uso della parola. Una delle prime prove che gli aspiranti eremiti infatti devono affrontare è la tentazione della parola. E per chi ha sperimentato la meditazione vipassana, resistere al bisogno di parlare può rappresentare una sfida con se stessi al limite della violenza.

Il silenzio è la punta dell’iceberg. Nel silenzio si può annidare la minaccia pronta ad esplodere come l’immobilità innocua o depressa. Una persona silenziosa può essere il simbolo dell’equilibrio interiore come del massimo disagio. Parlare può portare la verità come la menzogna, così come il silenzio. Esiste quindi un pre-giudizio in base al quale il silenzio può essere il segnavia del sentiero verso la verità? Baudelaire in un celebre aforisma afferma che “la letteratura è menzogna”. Abitare la distanza dell’essere incamminandosi verso il linguaggio è la sfida ineludibile per ri-velare la complessità del mondo, rinunciando alle impalcature della metafisica dell’abitudine.

Tra essere e apparire si articola il sentiero del linguaggio. Nel silenzio, il custode sincero si incammina fino agli estremi, come un Gilgamesh consapevole del limite e per questo aperto ad accettare la propria umanità con responsabilità, al di fuori di ogni menzogna. Oltre la parola, non per dominare il mondo come materia ma per coglierlo nella sua complessità, reale tanto quanto l’elemento antropico.

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