CINZIA

di Luca Bottari
La Meditazione di Hayez

L’eroina, il mio pallone di euforica follia pronto ad esplodermi in faccia, un’entità astratta che negli anni Ottanta diventa una realtà per cui ho pianto per anni.

Ho pianto per ore per la fine di mia zia Cinzia. La droga si diffondeva velocemente e con grande facilità e determinazione. Lo stato non conosceva il problema. Le famiglie italiane erano impreparate al duro impatto con questo nemico vigliacco ed ignoto. In Basilicata gli anziani in dialetto lucano stretto trattavano l’eroina come una punizione di Dio più o meno tollerabile che cadeva su chi osava andare contro le regole non scritte della morale comune. Cinzia è rimasta viva nel mio libro dei ricordi nei panni di un adolescente eroinomane.

È una presenza costante nella mia vita perché la vedo in sogno o mi faccio domande su come la sua esistenza avrebbe preso forma senza quel fatale inciampo. Cinzia mima un abbraccio con il mare. La sagoma di Cinzia è ripresa da una macchina fotografica di quelle che non si producono più. Sullo sfondo il gioco delle onde che rende sbilenca la rotta di pescherecci malandati. Cinzia indossa un vestito che lascia intravedere le braccia divorate dai segni dell’eroina. Non la vedo mai frontalmente. Neanche il mare ha trovato il modo di darle amore. Cinzia soffocava in Basilicata. Si sentiva circondata e sopraffatta dalla terra. Cercava nelle coste delle regioni vicine un angolo di mare dove respirare aria di fuga, un angolo di paradiso confinante con l’inferno dentro. Stringeva le spalle come per chiudersi in un guscio. Era una creatura indifesa e si faceva sempre più piccola, un essere umano intrappolato in un destino tra il commovente ed il penoso.

Cinzia adolescente è tutta in una foto con i capelli lunghi, il riflesso del sole sulla sua pelle come un flash naturale, presagio di un passaggio ultraterreno. Dopo l’uscita di scuola, facendosi largo decisa tra le pieghe nerborute del parco Montereale, mia zia dava ufficialmente il via ai suoi primi istanti di incosciente desiderio di perdizione. Si accomoda in modo naturale in una macchina senza portiere, la musica a volume alto nel vano tentativo di coprire i rumori della periferia. Dalla macchina esce un ragazzo che dall’aspetto pare un consumatore abituale di droga pesante. I due camminano verso un muretto invaso da alcune scritte volgari, per terra alcune siringhe usate. Cinzia si guarda intorno con occhi intimoriti ma curiosi.

“È la prima volta che vengo qui al muretto”. Massimo gli passa una canna, una pistola fumante nelle mani di una ragazzina che fa tenerezza quando finge di essere un’esperta consumatrice di droghe leggere. Fa un tiro e soffia via il fumo verso lontano e ringrazia perché in un gesto ha finalmente cancellato l’innocenza delle sue gote.

Poi una festa, tutti sembrano conoscersi, fumano e bevono. Cinzia balla con Massimo all’interno di un cerchio formato da altri ragazzi. Massimo la tira per un braccio così si rompe il cerchio.

“Vieni, ti presento alcuni amici”. Si apre una porta, tre ragazzi preparano il necessario per farsi una dose di eroina. I ragazzi guardano Cinzia negli occhi e sembrano dirgli che presto sarà uno di loro. Cinzia è confusa, stordita ancora prima di ricevere l‘eroina nel corpo. Guarda fisso uno dei ragazzi che si sta conficcando una siringa nel braccio. Ora è come una persona che soffre di vertigini, come qualcuno che quando si sporge ad una finestra è impaurito ma ha una irrefrenabile voglia di buttarsi. “Potere farmi provare?” Non aveva neanche il coraggio di dire la parola eroina.

Due ragazzi le si avvicinano e la fulminano con un sorriso quasi satanico. Massimo è immobile e sembra accettare questa rapida evoluzione nelle scelte di vita della ragazza.

Si muovono le intenzioni di alcuni fantasmi così come le ombre ed i presagi in una danza macabra sopra la testa di mia zia. Il ragazzo stringe il laccio emostatico intorno al braccio di Cinzia, subito dopo lei alza lentamente la testa al cielo come trasportata da un attimo di estasi fulminante che le fa vedere le orme sul soffitto di alcuni animali esotici. I miei sogni sono lunghi, dettagliati, corposi. Si interrompono senza preavviso ma riesco a riprenderli in corsa.

I passanti guardano con disprezzo Cinzia che strafatta barcolla per poi finire a terra. Una donna anziana che stringe forte un ombrello quasi a proteggersi, la sfiora mentre un’altra donna più giovane con un bambino in braccio fa uno scatto in avanti per allontanarsi da lei. Una vecchia, in dialetto stretto, muta e severa, scruta in viso il bambino della donna più giovane come ad ammonirlo.

Il bambino logicamente non le dà importanza e anche se la sentisse di certo non potrebbe capire perché ancora pieno d’innocenza. La donna parla ad alta voce volontariamente per fare diventare piccola piccola Cinzia. “Era una bella ragazza, ora è immondizia.”

Cinzia ormai l’eroinomane, spinta da una aggressività data dai sensi di colpa compressi a forza dentro una dose, fa un gesto di stizza nei confronti della vecchia, di scatto tenta di rialzarsi dopo esser cascata di nuovo a terra. Con voce biascicante inveisce contro la signora. “Fatti gli affari tuoi vecchiaccia maledetta”. Gli occhi tristi di Cinzia si incrociano con quelli del bambino che tende la mando verso di lei. Cinzia si sporge verso il cucciolo in un gesto scomposto. La vecchia con un gesto rapido e duro porta via il bambino, con lo sguardo rimprovera la madre per aver concesso questo istante di dolcezza a Cinzia.

L’ombrello della vecchia cade a terra. Quest’ultima raccoglie l’oggetto e getta un’ultima occhiata piena di pena e odio per Cinzia che rimane come in un fermo immagine con la mano tesa verso il bambino oramai lontano. Durante il corso di altre notti sudavo immerso in altri scenari. Il sole filtra attraverso le tendine. Siamo in una stanza disadorna di uno dei tanti commissariati del Sud Italia nel secolo scorso. La macchina da presa che guida la prospettiva dei miei sogni riprende di spalle il commissario mentre la lampada al centro davanti a lui si concentra impietosamente sul viso di Cinzia. Alle spalle del commissario due giovani poliziotti in divisa cercano appigli per fuggire dall’imbarazzo, i movimenti giusti per darsi un tono. In mezzo a loro spunta la testa ciondolante e malconcia di un giovane con l’occhio spento del tossico. I poliziotti provano vergogna perché apparentemente il tossico è un loro coetaneo. Vengo rapito da un montaggio alternato di primi piani, Cinzia, i due poliziotti, il tossico, ed il commissario sempre di spalle con la sua testa rasata che denota una eleganza sportiva fatta di abiti griffati e muscoli che spingono sui jeans. Il commissario con tono ipocritamente paterno sta puntando il dito verso il giovane tossico e Cinzia.

“ Voi due mi avete rotto il cazzo. La prossima volta che vi trovo fatti vi arresto per spaccio… Io non so come va a finire questa storia ma so per certo che per voi saranno solo e sempre grossi guai. Siete come dei bambini brutti che giocano a fare i grandi. Vi state distruggendo. Via! Andate via! “.

Il Commissario esce per primo. Per un attimo nella stanza tutti sembrano riflettere su quanto detto dal Commissario. Nessuno commenta ciò che è accaduto. Rimangono tutti dove sono, inchiodati al loro difficile presente. La luce della lampada sul tavolo del commissario è ancora accesa. Nella saletta dove si è appena consumato lo sfogo del commissario è rimasto solo un silenzio surreale. I poliziotti guardano i loro coetanei in preda a piccoli spasmi. Provano per loro compassione ma anche disgusto. Cinzia ed il giovane tossico sembrano deboli, indifesi. Non riescono a sostenere lo sguardo dei due poliziotti. Per strada il commissario viene benevolmente circondato da un gruppo compatto di quattro donne che hanno età diverse ma connotati estetici simili tra loro. Si intuisce che le donne sono parenti del giovane tossicodipendente e di Cinzia.

Il tono della voce delle donne tradisce le loro origini contadine. Non possono avere contezza degli effetti dell’eroina e di ciò che provoca nelle persone. Ora in coro si prostrano in ringraziamenti ed ossequi per il commissario. La più giovane delle quattro, una donna dall’aspetto energico e battagliero si schianta con il suo tono alto all’altezza della bocca del commissario: “Lei li deve salvare questi ragazzi! Gli ha messo un po’ di paura? Le hanno promesso che non si bucheranno più?”.

Mi rigiro sudato tra le lenzuola e mi sembra di vedere il commissario dall’alto nella mia stanza.

“Noi controlliamo per quanto possibile. Ma voi dovete fare il resto! Vi preoccupate dei vostri animali così bene mentre con questi giovani davvero non ci sapete fare!”.

Si torna velocemente nella sala dell’interrogatorio. Il giovane tossico sputa a terra.

Uno dei due poliziotti gli rifila un cazzotto in pancia. Gli prende la faccia e la spinge a terra vicino a dove ha appena sputato. Il commissario entra nel parcheggio e sale a bordo di un’auto sportiva.

In un letto d’ospedale Cinzia viene accarezzata dalla sorella Wanda mentre in un casolare un uomo con una valigia parla con un altro uomo. Il sogno mi restituisce per qualche istante una immagine sfocata dei due che si stringono la mano. La valigia passa di mano. I due prendono direzioni opposte.

In una stanza d’ospedale il viso delle sorelle si sfiora. Le due sorelle sono mia madre e mia zia.

Le bocche sembrano quasi toccarsi in un gesto pieno di affetto ed intesa.

L’uomo con la valigia si scopre essere il commissario. Lo capisco dal vestiario e dal cranio privo di cuoio capelluto. Mi appare di taglio e con gli occhi sottosopra così scopro ora che ha un’indole nascosta così amorale che mi spaventa. Un lampione di strada illumina Cinzia, con il fare di un ladro, entra in una stanza piena di oggetti ammassati l’uno sull’altro, un ripostiglio di ricordi e di cose di valore. Cerca di stare attenta a non fare rumore. Apre un cassetto, tira fuori tutto, trova due orologi d’oro. Nel silenzio si sente un rumore metallico, un rumore fastidioso che viene chissà da dove. Cinzia sembra paralizzata, un orologio le casca a terra.

Prima di scappare via incrocia uno specchio con cui sembra dialogare. “Sono brutta e voi siete stupendi”. Lo sguardo è diretto verso quella porta socchiusa dove dormono i genitori.

Con una sterzata da Parigi-Dakar, la mia dimensione in sogno diventa tridimensionale e surreale permettendomi di essere dentro il corpo di mia zia Cinzia. Tre figure umane posano per un fotografo. Il fotografo si posiziona dietro Cinzia che sembra impallare l’obiettivo. Le tre figure fantasma sono rispettivamente il padre, la madre e la sorella. Nei panni di Cinzia fuggo via scendendo le scale all’impazzata ed urlo “Maledetti”.

Passano settimane e non sogno mia zia ma faccio sogni erotici molto più appaganti. Ma certe notti mi riportano sempre da lei. Cinzia cammina euforica lungo un corridoio. Siamo a casa di Brando. Dal balcone si vede la spiaggia. Lungo il bagnasciuga ci sono degli uomini che fanno lo slalom tra detriti, vetri, carta igienica. Più avanti in lontananza un mare limpido che per tanta bellezza stona e crea un quadro scomposto di colori in contraddizione palese. All’interno della casa un tavolo con le siringhe ancora sporche di sangue. Intanto in sottofondo, fuori campo, il rumore di un bacio, poi un sibilo ovattato di due voci non ben riconoscibili. Poi il suono breve dell’allegra risata di due anime perse nella loro incoscienza. La spiaggia è sempre lì con i suoi scarti di vita sparsi lungo la sua schiena. Nella camera da letto in piedi uno davanti all’altro Cinzia e Brando. Il mare fuori sembra tapparsi le orecchie.

Brando le dice “ Dammi tutti i soldi che hai fatto e vattene”. Cinzia implora: ”Lasciami stare”.

Cinzia è vestita come una cameriera d’albergo. Ha ripreso a lavorare e a credere che si potrà salvare.

Brando le strappa il grembiule, gli fruga nelle tasche. Strappa dalle tasche di Cinzia delle banconote da centomila lire. Le banconote sono appallottolate come fossero dei pezzi di carta senza valore. Incomincia a prenderla a calci sulle gambe in prossimità delle scale che portano all’uscita della sua abitazione. Brando e Cinzia si confrontano con lo sguardo, i dettagli del loro viso parlano.

Cinzia piange, è sconvolta e stanca di tutto, suda copiosamente. Lo sguardo è fisso nel vuoto. Nonostante la tragicità della situazione l’agire di Brando sembra compassato mentre Cinzia dimena il corpo e si contorce mentre parla.

“Ti voglio dare ogni cosa, ti lascio prendere ogni cosa, ma tu lasciami vivere qui”.

Brando non la invita a dar via, la caccia e la fa sentire un oggetto inutile. La spinge fuori, lei si aggrappa ai suoi capelli e digrigna i denti.

“Io non so dove andare.”.

“Non me ne frega niente. Vattene!”.

Brando la colpisce con un pugno sul viso come a scacciar via una mosca fastidiosa. Cinzia si copre il viso con le mani quasi a tenere per se il dolore. Il lamento di Cinzia diventa una delle tante storie del mare.

Mia zia viveva in un mondo che non esiste più ma la potenza delle immagini di quel mondo deve avermi creato un trauma non reversibile se la sognerò anche stanotte. Io provo a pensare ad avventure meravigliose che mi vedono protagonista ma con cadenze non prevedibili durante il mio sonno proiettano il film della vita di mia zia.

Il parco è invaso da tossici che come sentinelle presidiano i quattro lati del perimento. Il muretto dove Cinzia aveva fumato la sua prima canna è illuminato a giorno grazie al raggio dai fari abbaglianti delle macchine parcheggiate all’entrata del parco.

Due ragazzi sulla trentina vestiti di nero camminano e all’improvviso si voltano di scatto verso Cinzia che è i piedi accanto ad un grande cipresso. Ai suoi piedi delle buste di plastica con qualche straccio dentro ed una grossa vecchia valigia che fa capire che è ridotta al pari di una barbona.

Uno dei due ragazzi, il più truce e corpulento le chiede come mai dorme nel parco. Sorride e i suoi denti allineati in modo irregolare lo fanno sembrare una persona con cattive intenzioni. “Lo sai che non ci puoi dormire nel parco?“. Il ragazzo incomincia a tastare Cinzia e a prendere a calci le buste che tengono ancora in piedi la sua vita. “Lasciami stare o chiamo la polizia!”.

“Chi chiami tu ?“. Il ragazzo è ora un uomo minaccioso. Impugna con un mano il collo di Cinzia quasi a strangolarla. Cinzia è rossa dalla rabbia. L’altro ragazzo la immobilizza da dietro senza dire una parola. Cinzia cerca di guardare in faccia il ragazzo che la sta immobilizzando ma questi nasconde il viso. Il ragazzo più massiccio la costringe a baciarlo, lei gli morde la bocca, lui le da una capocciata sul naso. Cinzia sviene. Quando rinviene il ragazzo più corpulento la sta penetrando. Cinzia non urla più e non si dimena. È rassegnata, dai suoi occhi sgorga un fiume di lacrime.

L’uomo che era un ragazzo fino a pochi minuti prima e che ora manovra le operazioni dello stupro, fa segno all’amico che ora è venuto il suo momento. Questi smette di immobilizzare Cinzia ed invece di penetrarla se ne va impietosito dall’inefficacia dei suoi leggeri ed impotenti tentativi di lottare contro ciò che è già accaduto. Il criminale guarda il suo compare, ride, e gli fa cenno di andarsene nel senso opposto. Cinzia senza abiti si appoggia sull’albero. Sembra un dipinto che racconta un esistenza tragica.

Ogni sogno che facciamo è illusione, tragedia e meraviglia, ma soprattutto speranza. Le tinti forti della speranza hanno riempito di un colore vivace le pareti della stanza in cui la mia attività psichica nel sogno ha preso lentamente fuoco.

Cinzia e mia madre Wanda sono sedute nel tavolo di quella che sarà la casa dove crescerò e al centro del tavolo c’è un vassoio di paste di quella pasticceria che un giorno sarà mia. Si sentono dei rumori che vengono da stanze più lontane. Pentole che sbattano lievemente l’una contro l’altra, i passi di Cinzia, poi il chiacchiericcio ed i movimenti bruschi di un gruppetto di persone. Infine la voce di un bambino che chiama la mamma. Quel bambino sono io a circa cinque anni.

Mia madre è una donna forte che quando ti sorride sembra indicarti la via di uscita dai tuoi problemi che spesso sopravvaluti. ”Cinzia vieni ad aiutarmi con questa pasta”.

“Sto arrivando”. A capotavola staziona Wanda con il piccolo me in braccio, a seguire in senso antiorario mio padre Tonino, la nonna Laura con la sua inusuale massa di capelli bianchi sempre in movimento. A fianco della nonna la sua inseparabile amica Alda, una signora molto anziana che ha passato la vita dicendo in giro che aveva iniziato a lavorare in una lavanderia a sette anni.

Mio padre si alza dal suo posto e va verso Cinzia per stringerla in un abbraccio sincero e senza che gli altri se ne accorgano le sussurra in un orecchio: ”Hai fatto bene a non denunciare la violenza. La polizia non ti avrebbe creduto”. In realtà Tonino non le ha detto nulla ma Cinzia ha letto sulle sue labbra e le linee della fronte di Tonino sono effettivamente solchi parlanti che non sanno mentire. Laura ha una faccia seria, corrucciata. Guarda fuori dalla finestra e si lascia scappare un sorriso. La smorfia allegra è la sua segnaletica speciale per far capire alla sua famiglia che c’è speranza per la figlia. Speranza ed anche qualche certezza per un futuro migliore.

Alda, si tocca i capelli sporchi di saggezza popolare mentre si rivolge a Wanda: “Si vede che tua sorella ha chiuso con quella schifezza”. Wanda guarda sua sorella Cinzia con aria soddisfatta. Cinzia non riesce a guardare nessuno dei commensali negli occhi. All’improvviso un incubo con il suo peso enorme si mette a sedere sopra il mio corpo dormiente e sono dietro ad un vetro di un sala d’aspetto di un ospedale davanti alla vita di mia zia.

Tra il corridoio dove transitano infermiere indaffarate e la stanza di Cinzia c’è un vetro che a volte riflette l‘andirivieni dell’ospedale e a volte lascia intravedere il viso stanco e malinconico di mia zia. Ci sono persone sedute in ogni dove, anche per terra dove la disperazione è più evidente.

Fa molto caldo ed ogni tanto qualcuno fa visita alla finestra per prendere una boccata d’aria o per accendersi una sigaretta. Al centro della sala d’aspetto una madre tiene per mano la figlia apparentemente in crisi d’astinenza d’eroina. Laura e Wanda, sedute una accanto all’altra, guardano la ragazza al centro della stanza che si dimena e sragiona. Il loro sguardo è distaccato, sembrano già lontani i tempi in cui anche loro erano costrette all’imbarazzo di offrire a degli sconosciuti quel penoso spettacolo. Entra un infermiera, prende per mano la ragazza che inizia a muoversi come per effetto di un attacco epilettico. L’infermiera fa un cenno con la testa per rassicurare la madre della ragazza che si muove veloce per prendere la mano della sua bambina eroinomane. Wanda e Laura parlano tra loro con pathos crescente. Noi non sentiamo quello che dicono. Improvvisamente alzano il viso e si trovano faccia a faccia con la madre dell’eroinomane. Quest’ultima ha un espressione terrorizzata. Probabilmente è la prima volta che vede la figlia in quello stato.

“Cosa faranno a mia figlia? “. Laura, prima con una smorfia che denota disinteresse, poi con un poco giustificato tono di superiorità ed alterigia, mostra la sua corazza fatta di mutismo e ossa sporgenti. Questo atteggiamento di Laura è voluto, cercato, è una fuga dal passato recente. Lei è una donna sensibile, ha sofferto troppo ed ora vede le altri madri come degli spettri che le ronzano attorno e le sue sofferenze tornano in superficie.

“Le danno qualche calmante e poi gliela fanno riportare a casa. Mia figlia invece sta per finire una cura che la sta facendo tornare tra di noi…sarà come rinata di nuovo… solo un brutto sogno da cui ci sveglieremo”.

Laura si alza e guarda con un sorriso la stanza dietro il vetro dove sua figlia Cinzia è seduta sopra un lettino senza scarpe accanto ad un infermiera.

La madre della tossicomane guarda Laura con preoccupazione ed invidia. Wanda si dirige verso la finestra della sala d’aspetto e si accende una sigaretta. Le persone che affollavano la sala d’aspetto se ne stanno andando un po’ alla volta. Nella stanza rimangono solo Wanda, Laura e la madre della eroinomane. Wanda e Laura sono palesemente innervosite dalla lunga attesa. Si sentono delle voci allarmate dietro il vetro. Wanda e Laura corrono verso la vetrata ma in quel mentre il vetro viene coperto con un telo. La madre della ragazza eroinomane intanto rivede tornare sua figlia accompagnata dall’infermiera. Bacia teneramente la figlia in un movimento quasi a rallenti. La donna con un cenno della testa ed uno sguardo solidale saluta Laura e Wanda che sono oramai completamente assenti e nemmeno ricambiano.

Un infermiera rassicura la madre della ragazza ancora stravolta dal trattamento. ”La signorina starà meglio. Questa notte dormirà profondamente“.

“Grazie Signorina.. Grazie.. Grazie”.

Wanda e Laura accompagnano con lo sguardo la coppia che esce dalla sala d’aspetto. Laura inizia a battere forte con la sua mano contro il vetro che la separa dalla figlia. Nessuno gli risponde. Le donne camminano in continuazione avanti ed indietro. Tornano sul vetro più volte per prenderlo a pugni.

Laura si mette con il viso appiccicato al vetro, urla e singhiozza. “Cinzia! Cinzia! Aprite questa porta! Ora! Aprite!“.

Lo sguardo di tutti non può che cadere sul telo che copre il vetro. Fuori campo gli strepiti di Wanda e Laura sembrano tagliare l’aria.

“Dottor Mariotti! Dottor Mariotti!”.

La sala d’aspetto ora è vuota. Silenzio grave. Da una porta che prima non era visibile, escono correndo nell’ordine: un’infermiera, il Dottor Mariotti, una barella con un non precisato essere umano coperto da un telo verde. Il Dottore blocca le mani veloci di Wanda e Laura che si adoperano per scoprire il velo. È una frazione di secondo. Laura ha scostato il velo. Il volto di Cinzia.

Mi sveglio, sono sudato. Non voglio più esser catapultato nella dimensione distorta di questo sogno infinito. Non sono in grado di controllare il mio stato di dormiente e presto ripiombo incosciente ad esser schiaffeggiato a sangue dall’incubo finale.

Una camera da letto avvolta da una carta da parati piena di fantasie di angeli. Due lettini occupati da due bambine con le gambe rannicchiate che si guardano a vicenda. La luce stella della lampadina sul comodino illumina il viso di mia madre e il piccolo ovale di mia zia. Di colpo si torna alla sala d’aspetto dell’ospedale. Mia madre vede il viso di Cinzia stesa sulla barella oramai deceduta e subito dopo io vedo una panoramica della stanza in cui le due sorelline sono cresciute. Una stanza che oggi è rimasta così dopo anni di dolore. Wanda è diventata adulta, nell’altro lettino Cinzia è rimasta bambina. Laura ha quella che presumo essere una pagella in mano. La legge con aria soddisfatta per i voti incoraggianti. Nell’altro lettino c’è Wanda bambina che fa finta di dormire ma ascolta piena di gioia.

Laura sta leggendo la pagella mentre accarezza con una mano la nuca di Cinzia: “Quanto è brava la mia bambina…La prima della classe.. La prima…”.

“Ti voglio bene mamma. Da grande ti farò io da mamma..”.

Wanda apre gli occhi e guarda la mamma e la sorellina nell’altro lettino. Laura si gira verso Wanda che richiude di scatto gli occhi e fa finta di dormire. Ma è un sogno reale e si torna a quanto è realmente accaduto. Wanda e Laura che abbracciano il corpo senza vita di Cinzia. Il dottore e l’infermiera si sono fatti da parte lasciando la barella a terra. Mia nonna urla rivolta verso il cielo:

“E’ andata! Non ci sarà più! Questa Mondezza che non conosco ha ucciso mia figlia!”

Io mi sveglio di soprassalto, mimo il gesto di strapparmi il cuore e faccio un passo in più verso il mio destino.

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